Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

Il salmo 51 (50) I tre nomi di Dio

Ogni anno, nel mercoledì delle ceneri, entriamo in quaresima pregando il Salmo 51 (50), scelto come salmo responsoriale per la celebrazione eucaristica. È indubbiamente un testo tra i più noti del Salterio e tra i più pregati. Viene attribuito a Davide, come preghiera di pentimento dopo il peccato di adulterio con Bersabea. La sua struttura è dialogica. Possiamo infatti suddividere il suo testo in due grandi parti:

  • nella prima parte, costituita dai vv. 3-11, lo sguardo si posa sull’uomo e sul suo peccato;
  • nella seconda parte, con i vv. 12-19, lo sguardo si sposta su Dio e sul suo agire misericordioso.

Questa successione può tuttavia trarci in inganno, inducendoci a pensare che prima l’uomo confessa la sua colpa e poi, in un secondo momento, fa esperienza della misericordia di Dio. Questa successione temporale è erronea e non corrisponde alla dinamica dell’incontro con Dio, che si rivela diversa e più complessa, come questo salmo mette bene in luce. In effetti, se leggiamo con attenzione il testo ci accorgiamo che l’invocazione del nome di Dio e della sua misericordia precede la confessione stessa del peccato. Le prime parole che il salmista ha sulle labbra sono al v. 3 la pietà di Dio, il suo amore, la sua grande misericordia. Solamente dopo parla della sua iniquità, della sua colpa, del suo peccato. Il primato va alla pietà, all’amore, alla misericordia di Dio ed è anzitutto su questo mistero divino che lo sguardo si posa. Non è la nostra confessione del peccato a determinare la misericordia di Dio, ma è la misericordia di Dio che, donandoci in modo preveniente e gratuito il suo perdono, ci consente di aprire gli occhi e le labbra, così da riconoscere e confessare il nostro peccato. Teofane il Recluso paragonava il nostro cuore a una stanza immersa nell’oscurità, in cui è impossibile notare la sporcizia; ma se la si illumina bene vi si può discernere ogni più piccolo granellino di polvere. È la luce della misericordia di Dio che, rischiarando la nostra vita, consente di far emergere dall’oscurità e dalla menzogna il nostro peccato nascosto.

La scoperta della misericordia precede la scoperta del peccato (…). In verità, è in un unico e medesimo atto che Dio perdona il nostro peccato e ce lo fa conoscere. È precisamente il perdono di Dio che ce lo fa conoscere[1].

Il salmo 51 ci consente di approfondire questa dinamica dell’incontro con Dio sin dalle sue battute iniziali. Nei versetti iniziali risuonano tre termini che alludono al peccato dell’uomo, cui corrispondono altri tre nomi che invece evocano il mistero di Dio. Ogni volta che diamo un nome al nostro peccato, di fatto noi invochiamo un nome di Dio che gli corrisponde. Reciprocamente, ogni volta che comprendiamo meglio il nome di Dio, riceviamo una luce maggiore che ci consente di discernere in quale situazione siamo davanti a lui, con quali limiti, fragilità, peccati nel bagaglio della nostra vita.

A questo riguardo è interessante osservare come nel salmo ci siano tre termini diversi per parlare dell’esperienza del peccato, ognuno dei quali ne mette in luce una sfumatura peculiare e differente dalle altre. La precedente traduzione della Cei (quella che ancora usiamo nella nostra preghiera) ricorreva soltanto a due termini: peccato e colpa. Nella nuova traduzione si tenta di rispettare maggiormente il testo ebraico e i termini sono tre: iniquità, colpa e peccato. Tuttavia, per noi, in italiano, si tratta ormai di termini equivalenti, sinonimi. L’originale ebraico custodisce maggiormente i tratti peculiari e specifici con i quali il male si rende presente nella nostra esperienza umana.

Il primo termine (peshà) definisce il peccato come ribellione, tradimento, rottura di un legame, infedeltà. Potremmo tradurre: perdona la mia ribellione, la mia infedeltà. Il secondo termine (‘awon) indica piuttosto la situazione in cui il peccato conduce: una condizione perversa, disordinata, ricurva su di sé, come schiacciata sotto un peso troppo grave da portare. Il terzo termine (chattà) significa piuttosto sbaglio, fallimento, insuccesso, come accade a chi prende la mira e poi manca il bersaglio, o smarrisce la strada senza raggiungere la sua meta. Viene a trovarsi di conseguenza in una situazione di scacco e fallimento, di vuoto e delusione.

Percependo queste dimensioni diverse del peccato la persona umana deve imparare a discernere e a nominare tre dinamiche corrispondenti dello Spirito, tre modi di essere e di agire di Dio, attraverso i quali egli si rende presente nel nostro cuore, proprio là dove è maggiormente provato da dinamiche negative. Infatti, il salmista in questi versetti iniziali cita anche tre nomi differenti di Dio: Dio è pietà, Dio è amore (in ebraico hesed, che potremmo rendere con il termine fedeltà, o amore fedele), Dio è misericordia. Questi tre nomi di Dio corrispondono in positivo alle tre dinamiche negative del peccato.

Se il peccato è ribellione, trasgressione, infedeltà, il nome di Dio è hesed, fedeltà, e precisamente una fedeltà ostinata, che rimane solidale con l’uomo anche quando questi spezza il legame. Se il peccato è essere ricurvi, oppressi e schiacciati da un peso troppo grave da portare, il nome di Dio è pietà, un termine che evoca il gesto con cui Dio si abbassa, si curva su di noi per mostrarci la sua compassione e ci rialza, ci risolleva, ci rimette in piedi. Se il peccato è fallimento, vuoto, insuccesso, smarrimento, il nome di Dio è misericordia, rachamim, viscere materne, grembo di vita che ricrea e colma il vuoto del nostro fallimento con la pienezza della sua potenza creatrice.

A ogni nome del peccato corrisponde un nome di Dio. Questa è una dinamica sempre valida. Per ogni aspetto e sfumatura che il male assume nella nostra vita personale, Dio ci dona una manifestazione peculiare della sua grazia e della sua misericordia. Questo ha conseguenze molto concrete per la nostra vita spirituale. Dobbiamo infatti imparare a cercare e a invocare la misericordia di Dio non in modo astratto e generico, ma come quella potenza salvifica che può e desidera guarire proprio questa mia ferita, sanare proprio questa mia debolezza.

Fr. Luca Fallica


[1] Jean-Pierre Van Schoote, Jean-Claude Sagne, Miseria e misericordia. Perché e come confessarsi oggi, Qiqajon, Magnano 1992, pp. 50-51.