Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

I Salmi dell’Hallel (113-118)

 

Iniziamo questa rubrica, nell’imminenza delle celebrazioni pasquali, con una breve presentazione dei salmi dell’hallel, pregati anche da Gesù, con i suoi discepoli, nell’imminenza del suo esodo pasquale.

 

 

I Salmi dell’Hallel (113-118)

Ecco colui che viene nel nome del Signore

 

«Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (Mt 26,30 = Mc 14,26).

 

Con un’identica espressione gli evangelisti Matteo e Marco attestano il trasferimento di Gesù e dei suoi undici discepoli dal luogo dove si è svolta l’ultima cena a quello della cattura del rabbi di Nazareth. Ma ciò avviene dopo il canto dell’inno, ossia dei salmi 113-118. Questo gruppetto di preghiere della tradizione ebraica era impiegato nelle festività gioiose e quindi anche per la liturgia pasquale: i primi due venivano cantati prima del seder pasquale, i restanti al termine. I sei salmi sono anche detti Hallel (da hll = lodare) egiziano, essendoci diversi riferimenti all’evento fondante della fede di Israele, l’uscita del popolo dall’Egitto in un clima di ringraziamento.

 

La costruzione strutturale di questa sezione del Salterio è accurata, al punto che la ghematria, l’esegesi ebraica che si appoggia sul valore numerico delle lettere, rinviene diverse sollecitazioni: ad esempio, le terzine “gemelle” 115,9-11 e 118,2-4, dove ricorrono come soggetti dell’azione laudativa rispettivamente Israele, la casa di Aronne e tutti coloro che temono il Signore, sono entrambe costituite da ventisei lettere – valore numerico del nome impronunciabile del Signore, il tetragramma sacro YHWH – e sono equidistanti dall’inizio e dalla fine della collezione. Il centro del libretto si trova in 116,8: «Sì, hai liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta», dove è espresso il motivo fondamentale da cui sgorga tutta la lode e la gratitudine: il Signore fa passare da una situazione di morte a una di vita, dai lacci della schiavitù alla libertà, dallo sconforto alla gioia.

 

Sembra rinvenibile anche un “percorso” in questo gruppetto di salmi. La collezione si apre con il 113, dove si loda il Signore sempre e ovunque, «da ora e per sempre, dal sorgere del sole al suo tramonto» (vv. 2-3): egli è il nostro Dio ma è anche l’unico, colui che si eleva al di sopra di tutte le nazioni (cfr. vv. 4-5). Il suo sguardo sul mondo non è curioso o addirittura disinteressato: si volge, «si china» sul mondo facendosi prossimo ai poveri e agli indigenti, ribaltando ruoli sociali fissi (cfr. vv. 6-8) e aprendo nuove sorprendenti prospettive sia amministrative – «dall’immondizia rialza il povero per farlo sedere tra i prìncipi» – che generative – «fa abitare nella casa la sterile, come madre gioiosa di figli» –. Il modello a cui si ispira l’azione del Signore, l’esodo, viene richiamato nel 114: tratto fuori da una nazione la cui lingua è “barbara”, incomprensibile, al popolo viene donata una terra. L’intervento divino è così stupefacente che la natura ha una reazione impressionante, di danza e di timore al contempo (cfr. vv. 5-7): le acque, simbolo delle forze caotiche, si danno alla fuga mentre i colli e le montagne, espressione massima di stabilità, saltano intimoriti e festosi. Nel 115 l’azione del Signore è messa a confronto con la nullità degli idoli delle nazioni circostanti: va rinnegata ogni altra divinità per rinnovare l’alleanza con l’unico Signore. Numerosi sono i pronomi personali, che attestano contrapposizioni e appartenenze antiidolatriche. Obbedire al primo comandamento ha come effetto la benedizione e il proliferare della vita (cfr. vv. 12-15). Nel 116, con una lode elevata dai cortili del tempio di Gerusalemme, si rende grazie al Signore che sa aprire cammini attraverso la morte come un tempo attraverso il mar Rosso (cfr. v. 8). Il salmo è corroborato dalla testimonianza di un’esperienza personale di preghiera: «Amo il Signore perché ascolta il grido della mia preghiera, verso di me ha teso l’orecchio nel giorno in cui lo invocavo» (vv. 1-2). Riprendendo la formula liturgica di Es 34,6, al versetto 5 il Signore viene riconosciuto come pietoso (hnn), giusto (saddiq), misericordioso (rhm). Ne nasce pace e serenità, fiducia e promessa di voti (cfr. v. 14). La lode di Israele si allarga a quella di tutti i popoli nel 117, il più breve di tutto il Salterio. La relazione positiva con il Signore viene offerta e aperta a tutte le nazioni: il suo «forte amore per noi» (v. 2) non è affatto esclusivo ma tutti ne possono fare esperienza. L’ultimo salmo dell’hallel, il 118, si caratterizza per un dialogo tra un celebrante e un coro, cui si associa il popolo tutto durante una processione verso il tempio. Modellato su Es 15,1-18, riprende temi emersi in questi primi cinque salmi: il popolo può interpretare la dura storia dell’esilio come la correzione di un padre, che non vuole la morte dei figli (cfr. v. 18) e al quale può affidare per il futuro tutta la propria vita (cfr. v. 17). Si passa dall’incontro con Dio attraverso il luogo fisico del tempio all’incontro più spirituale con la persona stessa del Signore, aprendosi ad una dimensione escatologica. Va notato l’uso delle ripetizioni per dare maggiore consistenza contenutistica alle affermazioni del salmo.

 

Comprendiamo come questa composizione di salmi, oltre ad accompagnare il rito della pasqua ebraica, sia diventata, nella tradizione cristiana, una parola profetica che indica Gesù Cristo come “colui che viene nel nome del Signore” per condurre tutti i popoli verso la pasqua definitiva (cfr. Mt 23,39; Lc 13,35; 19,38).