Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

Il digiuno

Il digiuno

 

La pratica del digiuno non è un’esclusiva cristiana, molte religioni e culture diverse praticano digiuni rituali o contemplano fra le pratiche ascetiche il digiuno. Ai giorni nostri è persino molto praticato anche il digiuno “di protesta”.

Occorre, pertanto, cogliere quale sia il senso del digiuno cristiano.

 

1. Il digiuno nel Primo Testamento

I cristiani digiunano perché Gesù digiunava, e il digiuno di Gesù era inserito nella pratica ebraica del digiuno. Infatti già nel Primo Testamento si trovano molte testimonianze della pratica del digiuno. Nel Primo Testamento il digiuno è legato alla professione di fede nell’unico vero Dio ed è legato alla preghiera, viene indicato come strumento privilegiato per superare le prove subite dalla fede e dalla fiducia nel Signore.

 

2. Il digiuno di Gesù Cristo: digiuno dei cristiani

I cristiani digiunano perché Gesù digiunava. Ma qual era il digiuno praticato da Gesù?

Nel Vangelo ci sono diversi riferimenti al digiuno: in Mt 4 vengono descritti i quaranta giorni di digiuno nel deserto, con i quali Gesù si prepara a vincere la tentazione del maligno e si prepara alla sua missione.

In Mc 6,1-18, viene descritta controversia con i farisei a proposito dei loro digiuni: Gesù rigetta l’ipocrisia che si cela dietro un certo tipo di digiuno puramente esteriore.

In Mc 2,20, annuncia il digiuno cristiano: «Verranno giorni in cui sarà tolto loro lo sposo e allora digiuneranno». «In queste parole la Chiesa trova il fondamento dell’invito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all’evento doloroso della passione e della morte del Signore, e come forma di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella celebrazione del Triduo della Santa Pasqua» (Cei, Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, n. 2).

 

3. Il senso del digiuno cristiano

  1. Il digiuno come attesa

Per comprendere il senso del digiuno si può partire da un dato apparentemente semplice, eppure irrinunciabile: si digiuna quando si attende qualcosa di importante. A chi di noi non è capitato di non mangiare quando è vicino un appuntamento importante? Il digiuno è un’azione simbolica originaria: il digiuno è l’attesa.

Ora, nel caso del cristianesimo il digiuno è sempre posto in relazione ad eventi importanti, esso è sempre l’attesa di quegli eventi: il digiuno quaresimale è l’attesa della Pasqua, quello dell’avvento è l’attesa del Natale, quello pre-eucaristico è l’attesa della celebrazione eucaristica (nella nota della Cei, Il senso cristiano del digiuno, si enumerano altri casi in cui è pastoralmente possibile praticare il digiuno, cfr. n. 14).

È importante sottolineare che il senso del digiuno non stia tanto nella privazione del cibo, quanto nell’esperienza dell’attesa che esso permette di sperimentare. Io digiuno perché attendo la Pasqua, perché la Pasqua è un evento importante per me.

Il digiuno non ha una funzione strumentale, esso è una delle principali forme dell’attesa cristiana.

 

  1. Digiunare come cibarsi della Parola

“L’uomo è ciò che mangia”, questa celeberrima frase di Feuerbach è vera e il digiuno cristiano le corrisponde.

Il principio fondamentale della vita biologica umana è il “metabolismo”: il nutrimento si “trasforma” nel nostro corpo, un pezzettino alla volta. È scientificamente provato che in sette anni l’intero organismo umano cambia totalmente ogni sua cellula, sostituendo ogni piccolo mattoncino del corpo con del materiale assunto nel processo digestivo. Dunque è proprio vero: l’uomo è ciò che mangia. Ma cosa mangia?

Banalmente si potrebbe rispondere che l’uomo mangia del cibo, qualcosa di concreto, di fisico o di corporeo.

Ma si potrebbe replicare: il cibo è solo questo?

Per capire cos’è il cibo e quale sia il senso profondo del cibarsi, si deve ricorrere alle parole di Gesù: «Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Dunque, anche la parola di Dio è cibo per l’uomo: l’uomo ha un cibo concreto (il pane), ma ha anche un cibo spirituale (la parola di Dio).

Tuttavia, detto questo non si può concludere che ci siano due cibi “separati”. Il cibo e la Parola sono in rapporto dialettico, sono in relazione tra loro. Finché si resta fermi al dualismo: da un lato solo il cibo fisico, dall’altro solo quello spirituale, siamo ancora sotto la tentazione.

Anche in questo caso bisogna cambiare prospettiva. L’insegnamento di Gesù dice che non c’è cibo fisico che non sia spirituale e non c’è parola di Dio che non sia anche fisica, concreta ed utile al metabolismo umano al pari del cibo.

Il digiuno permette comprendere questo insegnamento, infatti, digiunando (cristianamente) io interrompo la mia normale alimentazione e mi abituo ad alimentarmi della Parola (d’altra parte nella Bibbia si dice che la Parola è “mangiata”: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» Ger 15,16; o anche Ap 10,10). Nello stesso tempo, questa sospensione del cibo mi permette di cogliere il suo senso intimo, che è quello di “dono” (cfr. Gn 1-2) e il cibarsi quotidiano può tornare ad essere un atto di ringraziamento (in greco “eucharistia”).

 

  1. Il digiuno come atto penitenziale (conversione)

Il digiuno è un atto penitenziale, perché è intimamente orientato alla conversione. Conversione è cambiare mentalità e stile di vita. Convertirsi vuol dire, cioè, interrompere le modalità di vita usuali, fra queste l’accostarsi al cibo è una delle più importanti: modificare il rapporto col cibo tocca profondamente il nostro stile di vita.

Tutti i motivi che vengono in genere proposti per rifiutare il digiuno, in realtà dimostrano come esso abbia forza e sia valido. Quando si dice: «Io non digiuno perché altrimenti divento suscettibile» o «perché altrimenti mi deprimo» ecc., affermo il disagio che mi provoca il digiuno, ma nello stesso tempo dimostro che ha effetto su di me.

Certo, digiunare non vuol dire rifiutare totalmente il cibo, il cristianesimo non è mai e in nessun caso masochistico o autolesionistico. Tuttavia, modificare le abitudini alimentari riesce veramente a cambiare qualcosa nell’uomo, a interrompere il ciclo abituale della vita e può istruire tutto l’uomo alla conversione.

Manca, però, ancora un aspetto essenziale. Finora abbiamo analizzato solo la prima faccia della conversione: essa è deviazione del corso abituale della vita, ma verso dove? La conversione e volgersi verso Dio.

Anche in questo il digiuno è capace di insegnare qualcosa: digiuno perché Dio è la cosa più importante. Gesù stesso ce ne dà l’esempio: egli digiunando risponde al maligno, «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Nel digiuno quindi mi converto perché vivo non solo del pane, ma anche della Parola di Dio. Il digiuno, infatti, non può essere disgiunto dall’ascolto della Parola e dalla preghiera.

Viene da sé, poi, che non si può digiunare se il fedele assume atteggiamenti poco cristiani, sarebbe soltanto un digiuno ipocrita, come denunciato da Gesù stesso (cfr. Mc 6, 1-18).

 

  1. Il digiuno e la «misericordia»

«Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:

sciogliere le catene inique,

togliere i legami del giogo,

rimandare liberi gli oppressi

e spezzare ogni giogo?

Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato,

nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto,

nel vestire uno che vedi nudo,

senza trascurare i tuoi parenti?» (Is 58, 6-7)

Digiuno è però anche compiere la “misericordia”. Misericordia vuol dire “com-passione”, “patire-sentire insieme a” qualcuno, cioè condividere la sofferenza altrui. La dedizione quaresimale alla preghiera, all’ascolto della Parola e al digiuno sarebbe ipocrisia se non portasse frutti di opere buone, cioè di misericordia.

Certo, oggi non troviamo facilmente gente tanto povera attorno a noi, tuttavia cercare di incarnare il più possibile la misericordia di Dio nei nostri atti è possibile: dipende dalla nostra risposta negli eventi quotidiani dentro cui il Signore ci pone e dalla nostra reazione di fronte alle persone che Egli ci mette davanti, perché ce ne prendiamo cura e perché possiamo fare in loro opera di “liberazione”. Il resto è certamente è affidato alla nostra creatività.

Un atto praticato da sempre nella Chiesa, perché riconosciuto come altamente significativo è l’“elemosina”, dare del proprio a chi non ne ha. Non dare del superfluo, ma del proprio. L’esempio più forte in tal senso lo indica Gesù stesso: «Alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: "In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere"» (Lc 21, 1-4).

 

  1. Il digiuno è un atto comunitario

Il digiuno cristiano è sempre un atto comunitario. Esso è prescritto alla comunità e non soltanto ai singoli. Così, digiunare implica sostegno reciproco e preghiera reciproca.

Il digiuno comporta l’assunzione di atteggiamenti comunitari coerenti. La quaresima, per esempio, è un tempo che tutta la chiesa vive e il digiuno è la modalità con cui alla chiesa è possibile vivere la quaresima: tutti i cristiani infatti attendono la Pasqua. Non vivere comunitariamente il digiuno significherebbe che alcuni vivono la quaresima, altri no: una schizofrenia della comunità cristiana.

 

  1. Il digiuno come “ascesi”

La parola ascesi ci richiama la vita di privazioni dei “mistici”, ci richiama una vita totalmente spirituale, incorporea. La vita ascetica ci sembra perlopiù una vita impossibile alla gente comune.

Tuttavia, «ascesi» è una parola di origine greca, il cui senso originario è «esercizio fisico»: l’ascesi era l’allenamento fisico degli atleti o dei soldati.

Il motivo per cui i primi cristiani hanno introdotto questo termine nel vocabolario cristiano può sembrare paradossale: l’ascesi cristiana è qualcosa di fisico, di corporeo. Via, dunque, tutti gli stereotipi sulla vita ascetica che ancora adesso ci portiamo appresso. L’ascesi riguarda ogni cristiano e riguarda la vita concreta.

Il digiuno è uno degli elementi principali dell’ascesi cristiana. Come nella fase di allenamento non è subito facile concludere un esercizio, si deve tentare molte volte prima di riuscirvi: si cade, si sbaglia, ma si ricomincia, si tenta ancora finché non si arriva al traguardo. Inoltre, una volta raggiunto il traguardo si può ancora migliorare. Così è per il digiuno e per la vita cristiana in generale.

Il digiuno ci insegna tutte queste cose. Infatti, il digiuno non può essere improvvisato, esso va preparato un passo alla volta. Si può cominciare e poi si cede, ma poi si ricomincia con pazienza.

Il digiuno, poi, è effettivamente qualcosa di corporeo, di fisico: se digiuno “sento” qualcosa in me. E in questa sensazione corporea è in grado di educarmi alla preghiera “incessante”, mi permette di imparare a pregare sempre. Digiunare non è, infatti, farsi rodere dai morsi della fame. Il digiuno cristiano prescrive che non ci si senta mai del tutto sazi, e che questa sensazione ci ricordi di pregare, ci permetta di volgere la nostra attenzione a Dio. È un esercizio quasi banale nella sua semplicità, eppure efficacissimo.

 

  1. Il digiuno e il corpo

A quanto si dirà adesso, si è già accennato sopra, tuttavia è bene evidenziarlo, perché è un aspetto così confuso nella mentalità comune, da richiedere una trattazione puntuale.

Si tratta del digiuno come “mortificazione”. Si pensa infatti che digiunare sia un atto di sofferenza fisica che permette all’anima di elevarsi o all’uomo di guadagnare dei meriti. Si diceva qualche tempo fa: «Se il corpo si frusta, l’anima s’aggiusta». Sembra un aforisma ineccepibile, eppure non è cristiano per niente! Perché il cristianesimo non è una religione della sofferenza, né è una religione masochistica o sadica. Nel cristianesimo il corpo non è un peso né un inciampo da ridurre, ma al contrario il corpo occupa un posto centrale e insostituibile: esso è per la risurrezione ed è il tempio dello Spirito.

Il digiuno, dunque, non è una mortificazione del corpo come sarebbe una punizione corporale. Il digiuno invece è una modalità “simbolica”, e, per questo, concreta e corporea per vivere la conversione, perché nel cristianesimo il corpo è sempre coinvolto (es. i sacramenti).

Riguardo poi alla “mortificazione”, cristianamente parlando la vera mortificazione è il battesimo. Nel battesimo veniamo “mortificati”, assimilati alla morte di Cristo. Ma anche in questo caso il cristianesimo rovescia le prospettive: la mortificazione battesimale è pasquale, ha come effetto il passaggio alla vita, alla vita vera. Ora, il digiuno quaresimale è connesso alla Pasqua, esso permette di prepararsi all’annuale passaggio pasquale della comunità cristiana.

Il digiuno, quindi, non scredita il corpo, non lo vuole censurare, ma, al contrario, ne sottolinea l’importanza e la centralità.

 

  1. I tipi di digiuno

Vi sono principalmente due tipi di digiuno: quello comune e quello totale. Quello totale è molto limitato riguardo sia ai giorni in cui può essere praticato sia a chi può praticarlo, poiché prescrive di non assumere nessun alimento.

Quello comune, invece, che riguarda tutti i cristiani (dai 18 ai 60 anni, eccetto chi è malato), prescrive una riduzione del regime alimentare solito. Seguendo le indicazioni della Cei: «un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera» (Cei, Il senso cristiano del digiuno, n. 13).

 

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CEI, Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza. Nota pastorale dell’Episcopato italiano, 1994.  

A. Schmemann, La Quaresima, Qiqajon, Magnano 2010.