Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

Salmo 47 (46)

Il duplice racconto dell’Ascensione al cielo del Signore Gesù, redatto dall’evangelista Luca con differenti prospettive teologiche in Lc 24,50-53 e in At 1,6-11, trova nel Sal 47 (46) una importante fonte biblica di ispirazione.

Tale composizione poetica del Primo Testamento è un inno collettivo alla regalità di JHWH: si invitano tutte le genti a lodare Dio perché è l’unico autentico re della Terra. Il testo è chiaramente distribuito in due parti con al centro il v. 6, che vede Dio “salire”. Questo apparente movimento spaziale verso l’alto è, in realtà, espressione della tensione verticale che le acclamazioni di gioia del popolo manifestano: le voci, gli applausi, le grida di gioia si dirigono verso il cielo, dove il Signore sta tornando dopo aver esercitato tutta la sua azione liberatrice e aver «posto le nazioni sotto i nostri piedi» (v. 4). In questo ideale itinerario per tornare sul proprio «trono» (v. 9), Dio è accompagnato dalle acclamazioni dei suoi fedeli: Egli è «l’Altissimo»! Ma l’azione regale del Signore si è manifestata precedentemente lungo la linea orizzontale: se inizialmente è stato l’«orgoglio di Giacobbe» (v. 5) e Israele l’unica nazione che ha beneficato della sua protezione, tutti i popoli sono ora invitati a riconoscere la signoria di JHWH sull’intero globo terrestre (cfr. vv. 3.8.9). È stato soprattutto l’evangelista Giovanni a sottolineare la regalità di Gesù, innestata all’incrocio delle due linee simboliche verticale e orizzontale: è proprio sulla croce che Egli regna in modo pieno (cfr. Gv 3,14; 12,32; 19,31-37), ponendo un sigillo definitivo alla Pasqua e aprendo il cammino a tutti i suoi discepoli verso la dimensione escatologica della storia.

La costruzione strutturale del salmo è raffinata: il v. 6, posto al centro, è preceduto da 33 parole e seguito da 34; cuore della composizione è il tetragramma sacro, JHWH, con 36 termini prima e altrettanti dopo; il nome proprio di Dio ricorre sia al v. 3 che al v. 6: in mezzo ci sono 26 parole, che è il valore numerico del tetragramma. Nella liturgia ebraica il salmo 47 viene ripetuto 7 volte prima del suono dello shofar nella festa che annuncia l’inizio del nuovo anno, Rosh Hashanah.

 

Il salmo è ritmato da imperativi che invitano a far festa e si apre con un primo invitatorio, rivolto a tutti i popoli, affinché esprimano in modo plateale, mediante l’applauso, l’acclamazione e il “grido di guerra” (teru’ah) l’universale signoria del Signore, il «gran re» (melek gadol, v. 3). Egli è «terribile» (nôra), così come lo era stato al momento determinante dell’uscita dall’Egitto del popolo eletto (cfr. Es 15,11), dove aveva reso esplicito il proprio sostegno a Israele. L’espressione «Altissimo» (Eljôn, v. 3) ricorre, significativamente, in Gen 14,18-20, nel contesto dell’incontro tra Abramo e Melchisedek, dove si attesta un culto gerosolimitano pre-biblico e ha inizio la riunificazione delle nazioni nell’unico popolo di Dio: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3). Alla teofania (vv. 2-3) segue l’azione di Dio, resa con verbi all’imperfetto, con azioni che durano nel tempo. Quindi prende la parola l’amato popolo di Israele: Egli ha operato portenti verso di noi (cfr. v. 4), la sua eredità: tale elezione è però in vista di una universalità, affinché tutti possano conoscere il vero Dio. JHWH ritorna allora sul suo trono (cfr. v. 6): sembra di assistere a una processione liturgico-bellica; egli sale (‘alah) al cielo tra le acclamazioni (teru’ah), mentre viene suonato lo shofar, il corno d’ariete impiegato nelle solennità. È una grande festa, simile a quella dell’intronizzazione del re d’Israele!

La seconda parte del salmo si apre nuovamente con un invitatorio, rivolto alla corale del tempio e all’intera assemblea liturgica, reso nel martellante invito a cantare (zamar): la simbologia musicale, iniziata con l’applauso e il grido di guerra (cfr. v. 2), ribadita dall’impiego del corno (cfr. v. 6), raggiunge qui il suo culmine espressivo. JHWH, al contempo, è il «nostro re» (v. 7) e «regna su tutte le genti» (v. 9): questa tesi attesta un fervido coraggio e una profonda esperienza di fede, tenendo conto della piccolezza di Israele a fronte di potenze come l’Egitto e Babilonia! Dio si insedia (jašab) quindi sul suo «trono santo» (v. 9): viene preparata la grande visione della Gerusalemme celeste che sarà tratteggiata nell’ultimo libro biblico (cfr. Ap 3,21; 4,2.9-10; 5,1.7.13; 6,16; 7,10.15.17; 19,4; 21,5). Il salmo si conclude con il pellegrinaggio dei responsabili di tutte le nazioni verso un indefinito luogo – la citta santa? – in qualità di membri del «popolo del Dio di Abramo» (v. 10): si è ormai realizzata l’unica famiglia di Dio! Nella mediazione del patriarca di tutte le genti la benedizione raggiunge ogni popolo e noi riceviamo una spinta per camminare verso il compimento dei giorni e della storia.