Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

Gesù volto di Dio e dell'uomo

Le icone non sono semplici immagini, sono finestre aperte, che, a partire dalla Scrittura, ci introducono nella contemplazione di Dio. Normalmente si dice che una icona si scrive e non che si dipinge, perché essa è realizzata seguendo delle regole precise, proprio come per la scrittura, per permettere a ciascuno di poter cogliere il loro messaggio. Quindi lo spazio lasciato all’artista è davvero poco legato ai sentimenti, alle emozioni, al periodo o alla corrente artistica.

Chi scrive le icone lo fa dopo aver trascorso lungo tempo nella preghiera e nel digiuno per essere capace di vedere con gli occhi della carne ciò che Dio rivela di se stesso.

Le icone prendono sempre come punto di partenza la Scrittura e portano indicato il nome dei peronaggi o degli eventi (per esempio le feste) raffigurati.

Ogni icona è una piccolo microcosmo nel quale sono presenti tutti gli elementi del mondo: il mondo umano rappresentato dall’opera stessa, realizzata da un artista, da un uomo che crede; Il mondo animale reso presente dal colore che è, sempre, diluito nell’uovo; il mondo materiale delineato dalle terre, cioè dai colori naturali utilizzati. Tutto partecipa, infatti, a rivelarci qualcosa di Dio e del suo volto, dalla natura all’uomo-donna.

Nello stesso modo è presente anche il mondo divino indicato dall’uso frequente e abbondante dell’oro, dalle figure allungate rispetto alla classica raffigurazione pittorica, dalla natura che spinge oltre la mera raffigurazione naturale…

Questa ricchezza di significati simbolici è il frutto di un lungo cammino compiuto dalle chiese, perché non era facile passare dal comando anticotestamentario di non farsi immagine alcuna di Dio alle icone e, successivamente, all’arte sacra in generale.

Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 5 Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai”. (Esodo 20,4-5)

Eppure è proprio la fede nell’Incarnazione che permette ai cristiani di raffigurare il Signore. Se il Figlio di Dio, infatti, si è fatto uomo, nato da donna, in lui Dio si è reso visibile. Da questo momento, che segna la pienezza del tempo e l’inizio del tempo escatologico-ultimo, in Gesù, vero Dio e vero uomo, noi possiamo vedere il volto di Dio; un volto desiderato e amato da molti uomini: Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco. (Salmo 26,8)

Per questo possiamo dire che l’icona base, quella che, in qualche modo, origina e genera tutte le altre, è quella del volto di Cristo.

Una icona che nella tradizione orientale viene spesso considerata acheropita, un termine che viene dal greco (ἀχειροποίητα) e che indica il non essere fatta da mano d’uomo. Un modo per dire che è Dio stesso a rivelarsi, a mostrarsi, a venire in mezzo a noi in un corpo umano.

Dio si spoglia, si rivela, toglie il velo. E giunge lo stupore perché quello che appare è il corpo di un uomo, che è il corpo di tutti. (Rubem A. Alves)

L’icona si colloca così al cuore, al centro della fede cristiana: l’incarnazione.

L’icona che mostra il volto di Gesù, rimanda, però, contemporaneamente alla passione e alla Pasqua. La raffigurazione del volto di Cristo è fatta, infatti, su un panno bianco, il mandylion, che richiama sia l’episodio della Veronica, la donna che asciuga il volto di Gesù lungo la via dolorosa, sia il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo, morto e insieme vivente nella luce della Pasqua.

La croce che emerge dietro il volto del Signore porta una scritta in greco, che ripete il nome di Dio rivelato a Mosè: io sono. Questa scritta indica la divinità di Gesù, il suo legame consustanziale con Dio, ma l’icona tutta ci dice anche il suo legame con noi, la sua consustanzialità con la nostra umanità grazie a Maria, sua Madre, la donna presente nella pienezza del tempo.

E’ per questa vera appartenenza alla nostra umanità che Gesù ha patito ed è morto.

Tuttavia se il lenzuolo bianco richiama la passione, lo sguardo di Cristo, i suoi occhi aperti, ci spingono a contemplarlo come il vivente, perché la morte non ha più potere su di lui e, in lui, su di noi che guardiamo l’icona.

Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui.(Romani 6,8-9)