Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

Armida Barelli

Armida Barelli nasce a Milano il 1° dicembre 1882 in una famiglia della laboriosa borghesia milanese. I genitori, cattolici liberali  di fine Ottocento, senza un forte fondamento teologico ma radicati in una tradizione vigilata dal patriottismo, non educano Armida – né gli altri cinque figli – ai valori religiosi. 
I genitorimandarono Armida (insieme con la sorella più grande, cui seguirono poi le altre due) a studiare, tra il 1895 ed il 1890, in un collegio svizzero retto da suore. 
Ripercorrere sia pur brevemente la biografia di Armida Barelli significa – fra l'altro –  riesaminare (e valorizzare) l’impegno ecclesiale (ed anche politico-sociale) di migliaia di donne che seppero coltivare, nelle loro famiglie, nei luoghi di lavoro e d’impegno sociale ed ecclesiale, valori umani e cristiani, portandoli talvolta all’eccellenza, come dimostra la pubblicamente proclamata “santità” di alcune.
 
Serena e inquieta
Sembrerebbe un paradosso l’accostamento di questi due aggettivi: eppure la giovinezza di Armida Barelli ne è descritta. Armida (Ida per i  fratelli, un po’ impressionati per il nome altisonante), come detto, era stata messa a studiare presso un collegio di suore a Menzingen (Svizzera), una scelta che denotava particolare larghezza di vedute da parte dei genitori (era ancora il tempo in cui alle ragazze di buona famiglia non si facevano compiere lunghi studi “tanto poi di sposeranno…”). 
Nel collegio delle buone suore, Armida resta per cinque anni e qui impara ad amare il Signore: una svolta cruciale nella sua vita. Infatti, cresciuta bella e brava, Idina avrà presto molti pretendenti alla sua mano, giovani uomini, “ottimi partiti” come si diceva allora, che lei continuerà a “dirottare” verso sorelle e amiche. 
Niente matrimonio, dunque, ma neanche il convento. La giovane Barelli non rimane con le mani in mano: s’impegna nel volontariato, in quello più “di punta”, andando a visitare i carcerati, sostenendo e curando con amore bambini in difficili situazioni. Ed è attiva nell’azienda di famiglia. È una giovane donna serena ed appagata e nello stesso tempo in ricerca di qualcosa che intuisce, ma ancora non sa completamente afferrare. 
 
Il “fatale” Gemelli
  Nel 1910 avviene un incontro che sarà davvero “fatale” per Armida: quello con lo straordinario francescano Agostino Gemelli al quale la Barelli voleva chiedere consiglio a proposito di un fratello lontano dalla fede. Padre Gemelli era già, quindi, una personalità nota quando incontra la giovane donna. 
Gemelli intuisce quella sorta di inquietudine che sta dietro il volto grazioso, i modi educati, l’intelligenza viva e pratica della giovane donna. Comincia a farla lavorare per sé: la Barelli, grazie agli studi in Svizzera, conosce bene francese e tedesco, può tradurre… Non sarà che l’inizio di una serie di opere, dello Spirito e materiali, cui i due daranno vita insieme.
Nel 1917 la Barelli (con padre Gemelli) si butterà a capofitto nell’organizzare la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore di Gesù. Siamo nell’anno più difficile della Grande Guerra, quello in cui la disperazione comincia a serpeggiare maligna. La consacrazione al Sacro Cuore (per il quale Armida Barelli nutre una devozione chiara e sicura) sosterrà non soltanto i soldati al fronte, nella tremenda guerra di trincea, ma pure le famiglie.
Padre Gemelli sa anche apprezzare molto la sua intelligenza pratica, tanto da nominarla amministratrice della nuova casa editrice “Vita e Pensiero” (che diverrà in seguito l’editrice dell’Università Cattolica).
È soltanto un inizio: alla signorina Barelli la Chiesa italiana comincia a chiedere molto; nel 1918, a guerra finita e vinta, ma con italiani e italiane (soprattutto i più giovani) da ricostruire moralmente e socialmente, il cardinale Andrea Carlo Ferrari, arcivescovo di Milano, le chiede di fondare e presiedere la Gioventù femminile cattolica milanese; nello stesso anno, il papa Benedetto XV le “impone” di fondare, organizzare e presiedere la Gioventù Femminile italiana. La Barelli è riluttante, ritenendo il compito e la responsabilità superiori alle sue forze. Poi, per obbedienza, accetterà.
Intanto Barelli e Gemelli affrontano un’altra grande impresa: la fondazione dell’Università Cattolica, fulcro dell’intellighentsia “battezzata” e centro di espansione culturale. Fra l’altro, la Barelli “imporrà”  d’intitolare la nascente Università cattolica al Sacro Cuore, contro il parere del Comitato riunito per deciderne la costituzione. Decisione che in seguito ebbe però la piena approvazione di Papa Benedetto XV.
La Barelli è instancabile: gira l'Italia, scopre nuove potenzialità fra giovani donne che mai avrebbero lasciato la casa paterna, come alcune siciliane trapiantate negli uffici di Milano della Gioventù Femminile, di Vita e Pensiero, dell'Università Cattolica. 
Nel 1927-1929, sempre con padre Gemelli, inizia l’Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, per la diffusione fra il popolo della vita liturgica e di una spiritualità cristocentrica, ispirata alla liturgia.
 
Gli anni della maturità
Nel 1946, Pio XII la nomina vice presidente generale dell’Azione cattolica italiana: sono gli anni del secondo dopo guerra e ancora c’è un popolo da ricostruire moralmente e materialmente. Armida si mette di nuovo in viaggio per l’Italia, quando ancora le comunicazioni sono incerte. La Gieffe diventa una forza grande, anche numericamente: le iscritte sono un milione e cinquecentomila. 
Con un’energia prodigiosa, la Barelli organizza convegni nazionali e internazionali, settimane sociali, pellegrinaggi, corsi di cultura e di formazione. Dà anche grande impulso alla vita politica delle donne, incitandole alla partecipazione attiva.
Sono anche gli anni in cui inizia il declino della salute di Armida, colpita da un'inesorabile malattia – la paralisi bulbare – che ella affronterà con fede purissima, in spirito di penitenza, nella preghiera. Una malattia che la condurrà alla morte nel giorno dell’Assunta del 1952.
 
Per una lettura “ragionata”
Si può leggere la vita della Barelli – così come ce la propone Maria Sticco autrice della ponderosa pubblicazione “Una donna fra due secoli” ora, purtroppo, introvabile in commercio – secondo cerchi concentrici che si sviluppano intorno ad uno, primo e centrale, la sua famiglia d’origine, sempre da lei amata e curata.
Il secondo cerchio è l’Università Cattolica. In maniera “rivoluzionaria” per i costumi del suo tempo, la Barelli partecipò con autorità alla fondazione dell’ateneo cattolico così caro a Gemelli ed anche alla sua crescita e conduzione, come tesoriera. La signorina Barelli, come rispettosamente la chiamavano, teneva i cordoni della borsa!
Il terzo cerchio è la Gioventù Femminile, la “mitica” Gieffe, nella quale si riunirono milioni di giovani donne cattoliche italiane. La Barelli ne assunse la presidenza con esitazione, su pressante sollecitazione del papa Pio XI. L’associazione divenne prestissimo un punto di riferimento spirituale, abbiamo detto, addirittura per milioni di giovani donne. Ma non soltanto: in modo indiretto, la Gieffe ha contribuito anche allo sviluppo intellettuale delle donne italiane (quante contadine o operaie analfabete impararono a leggere e scrivere per partecipare ai concorsi Veritas o per leggere gli scritti della Sorella Maggiore, come la Barelli!). 
Il quarto cerchio è sicuramente l’azione civile e politica, nel senso più alto e nobile del termine. Ida aveva ereditato un forte senso patriottico dalla sua famiglia. La patria della Barelli non era un mito o un ideale, ma un territorio che aveva imparato a conoscere a palmo a palmo, girando instancabilmente diocesi per diocesi, parrocchia per parrocchia. 
Occorre ricordare che la Barelli vive in pieno nel pontificato di Pio XI, il papa della Quas primas, della proclamazione di Cristo re dell’universo, e non di un Regno soltanto spirituale, ma anche sociale (la Chiesa, infatti, si proponeva come “modello” di società). 
Il quinto cerchio è l’Opera della Regalità, nata “per l’adorazione notturna e la divulgazione della pietà liturgica per mezzo di opuscoletti, che davano il testo latino-italiano delle Messe festive” (è sempre la Sticco a ricordare). L’Opera della Regalità, istituita con Gemelli, ebbe poi un ruolo assai importante nella riforma liturgica avviata dal Vaticano II. 
Il sesto cerchio è quello della famiglia spirituale della Barelli. Qui l’intuizione di padre Gemelli fu fondamentale. Si diceva prima che Armida, fin da ragazza, aveva manifestato l’intenzione di consacrare a Dio la propria vita, non però, come ci si sarebbe atteso, entro le mura di un convento. La Barelli voleva rimanere “nel mondo”. Fu padre Gemelli – che forse perfino meglio della stessa Barelli aveva compreso l’importanza, per la Chiesa e per la società civile, di quella che si sarebbe chiamata secolarità consacrata – a cercare e trovare una “formula” che potesse tenere insieme sia la presenza attiva nel “saeculum”, nella storia, nella quotidianità, sia la totale e irrevocabile consacrazione. Nacque così l’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo, un “sodalizio” ispirato alle linee spirituali del francescanesimo, ancora oggi fiorente e presente nella società (anche se chi vi partecipa non rivela la propria appartenenza).
 
Profezia di donna futura
Qualcuno ha definito la Barelli “protofemminista”: definizione che non le compete affatto. Armida Barelli era ben lontana dal femminismo, di cui pure aveva conoscenza e forse coscienza. Lei non ha mai “rivendicato” nulla per le donne in quanto donne. Ai suoi tempi erano attive donne – come la cattolica Adelaide Coari – dichiaratamente immerse nella ricerca di una nuova condizione femminile attraverso la rivendicazione di nuovi spazi (sociali ed ecclesiali, nel caso specifico). 
Armida Barelli ha avuto, molto probabilmente, contatti con queste esponenti, loro sì, del femminismo – donne sicuramente notevoli anch'esse per l’impegno e l’ingegno – ma non va sulla loro strada. Il suo pensiero è  “unico”: che il Regno di Dio si realizzi. Ma forse, proprio per questo suo atteggiamento di fondo, per lo scopo dato alla sua vita completamente donata al Cristo Gesù, opera a favore delle donne, soprattutto della più povere, donando loro nuova dignità e consapevolezza. Costruisce un nuovo futuro per le donne italiane, soprattutto per le più giovani, con l'esempio della sua vita, con le iniziative (le “opere”), con un amore incondizionato al mondo.
Come donna, Armida Barelli può senz'altro essere catalogata fra quelle che, nella Mulieris Dignitatem, Giovanni Paolo II individua come “donne forti”, al cui “genio” può essere affidata l'umanità. Nel quadro di una visione al femminile, nella Mulieris Dignitatem leggiamo infatti: 
“La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano … La donna è forte per la consapevolezza dell’affidamento, forte per il fatto che Dio «le affida l’uomo», sempre e comunque, persino nelle condizioni di discriminazione sociale in cui essa può trovarsi… Nella nostra epoca, i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri all’emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l’uomo, per ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel «genio» della donna che assicuri la sensibilità per l’uomo in ogni circostanza per il fatto che è uomo! E perché «più grande è la Carità» (1Cor 13,13) ”.
Come non riconoscere la Barelli in queste indicazioni?